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2019   DESIGN WITH INTENT
ESERCIZI DI PROGETTAZIONE CRITICA

The studio reflects on architectural composition explored in the format of critical design exercises, a practice included in the cultural history of architectural and urban design not as a simple tool of legitimation but as a useful expedient to problematize the present condition. As part of a long discussion on the possibilities of reusing the Carcere di Buoncammino, a historic prison erected in the center of the city of Cagliari in 1855 and definitively dismissed in 2014, an ambitious strategy for its integral recovery was discussed inspired by the large mixed-use complexes that better respond to contemporary urban logics. Alternatively, passing through a broader reflection on how architectural and urban composition can factually contribute to (de)colonize these large, historic, empty complexes, the sequence of exercises deliberately focuses on a limited portion of the former prison to instigate a slow and progressive alteration of its formal structure and to accept, when this does not happen, the quiet exhibition of incompleteness.

Docente: Prof. Marco Moro

Nel proporre un format basato sulla sequenza di esercizi di progettazione critica si ribaltano, in questo specifico caso, le premesse di riuso integrale del complesso esistente. Pur riconoscendo il potenziale legato alla commistione e sovrapposizione di programmi differenti, gli esercizi sono pianificati per privilegiare l’indagine critica sulle implicazioni formali di un ipotetico progetto di decolonizzazione. In primo luogo, piuttosto che simulare un grand projet che risulta funzionante quando tutte le sue parti sono compiute, gli studenti sono guidati in un procedimento più complesso circoscritto in uno dei due corpi allungati (bracci detentivi) che completano l’impianto carcerario. In secondo luogo, l’alterazione della struttura formale del carcere si fonda sull’introduzione, al suo interno, di un certo grado di domesticazione come nuovo sistema di forze in gioco per attuare la trasformazione dell’edificio esistente, costruita sulla relazione inedita tra sfera pubblica e sfera privata. Pertanto, la sequenza di esercizi di progettazione critica si compone di tre passaggi apparentemente autonomi ma strettamente interconnessi: (1) disegno interpretativo di una casa/spazio domestico assegnato; (2) derivazione di una struttura spaziale che sviluppi il tema della domesticità dentro la porzione prescelta del carcere; (3) modello sintetico e parziale delle alterazioni formali.

Il primo esercizio innesca, come detto, il tentativo di attivare il complicato processo di decolonizzazione insinuando un sistema di forze alternativo che, originato dalla sua stessa forma, introduca dentro l’edificio esistente un certo grado di domesticità. Per questa ragione, prima di operare alterazioni sull’ambito di progetto, ogni studente elabora un disegno interpretativo su una casa assegnata con lo scopo di esplicitare la struttura formale che definisce il carattere domestico dei suoi spazi. Il risultato, una pianta o sezione in bianco e nero, evidenzia gli elementi sintetici della suddetta struttura e induce lo sviluppo di un tema progettuale, come nel caso della colonna cava di Entelechy I (1964), degli ambienti erosi di casa Monsaraz (2007) o del muro inspessito della Haus III (1995). Nel secondo esercizio, lo studente si confronta con la struttura formale del carcere esistente riducendo deliberatamente il campo d’azione. Il risultato consiste nella elaborazione di una struttura spaziale derivata dall’esercizio precedente che agisca, internamente al vecchio braccio detentivo, alterando i rapporti tra la sequenza ripetitiva di celle (su tre livelli) e lo sviluppo longitudinale del corridoio vuoto (a tutta altezza). Alterazioni e manipolazioni che insistono su una porzione limitata e solo sulla sua forma, si traducono in strutture spaziali molteplici che insinuano modi alternativi di occupare e abitare quello spazio. Modi di abitare, non necessariamente programmi o funzioni, dal momento che ciò che contraddistingue le suddette strutture spaziali risiede nel dare forma alla sola capacità di circolazione e aggregazione. Il terzo esercizio richiede un’elaborazione tridimensionale come modello fisico. Non un modello tradizionale, e tantomeno compiuto, che esalti gli effetti atmosferici di uno spazio rinnovato.  Piuttosto, realizzato in cemento come spazio solidificato, il modello richiesto si ispira alla forte ambiguità tra vuoto e pieno come risultato diretto delle alterazioni e manipolazioni formali effettuate che diventano materia – per sottrazione – escludendo qualsiasi caratterizzazione pittoresca dell’edificio in rovina.

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