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2020   CITTÀ OSPITALE 1

RIPENSARE LA SPAZIALITÀ DELL'OSPEDALE

Città Ospitale is a design workshop dedicated to the recovery and conversion of the Hospital of San Giovanni di Dio in Cagliari. The building is one of the main monuments of the historic center of the Sardinian capital and was designed in the mid-nineteenth century by the architect Gaetano Cima, a leading figure in the architecture of the island. Today, having become obsolete for the hospital function, it has been abandoned and is awaiting a new architectural configuration and intended use. The workshop involves students of different levels, from the first to the last years of the career. The integration between different disciplines and between students in different moments of their training is a teaching strategy that allows a wide exchange of information and experiences between different working groups.

Città Ospitale 1 è un laboratorio universitario di progettazione che ha per oggetto il recupero e la riconversione dell’Ospedale di San Giovanni di Dio a Cagliari. L’edificio, uno dei monumenti principali del centro storico del capoluogo sardo, è progettato alla metà del XIX secolo dall’architetto Gaetano Cima, figura di primo piano per l’architettura dell’isola. Oggi, divenuto obsoleto per la funzione ospedaliera, è stato dismesso ed è in attesa di una nuova configurazione architettonica e destinazione d’uso. Il laboratorio di progetto è coordinato dai professori Caterina Giannattasio, per le discipline del restauro, e Pier Francesco Cherchi e Marco Lecis, per le discipline del progetto. Il laboratorio è stato frequentato dagli studenti dell'ultimo anno della carriera universitaria, come esperienza propedeutica a una tesi di laurea.

Il recupero dell’ospedale del Cima, una strategia di intervento

 

Il titolo del laboratorio, “Città ospitale”, riassume il tema e l’idea che il pezzo di ospedale su cui lavoreremo durante il semestre possa essere ripensato come una città, ospitale come gli antichi hospitalia, strutture che secondo lo spirito della carità cristiana accoglievano viandanti, poveri, emarginati e bisognosi di assistenza. La fabbrica del San Giovanni di Dio è l’opera più imponente di Gaetano Cima, il principale architetto neoclassico della Sardegna. Egli immaginò e progettò il nuovo ospedale civile cittadino a partire dal 1842 e sovraintese buona parte della prima fase di costruzione fino al 1858, anno della sua inaugurazione. Il San Giovanni è stato a lungo l’unico ospedale della città e ha ospitato le cliniche universitarie fino all’inizio degli anni 2000. Da questa data i reparti sono stati spostati e dislocati nel nuovo Policlinico universitario di Monserrato. Così l’edificio ha progressivamente perduto la funzione originaria, scivolando silenziosamente in una condizione di sospensione in attesa di essere restituito alla città. Oggi solo una minima parte dei suoi spazi è in uso, prevalentemente per attività amministrative e dirigenziali. Il laboratorio intende studiare il grande complesso e individuare una strategia architettonica e urbana per il suo riuso. Come altre architetture civili della città ottocentesca, l’ospedale è un condensatore di vita, un luogo di incontro e di condivisione, crocevia delle comunità, per dirla con le parole di Guido Canella, una «città nella città». Questa immagine di Canella restituisce il carattere di chiusura e alterità dell’istituzione ospedale, luogo chiuso e separato per ragioni istituzionali e pratiche, e al contempo internamente articolato, complesso e autosufficiente, un insieme del tutto assimilabile a una città.

 

Un monumento aperto e integrato alla vita della città

 

Città ospitale ribalta questo punto di vista assumendo come paradigma della progettazione, a fondamento di una strategia di riuso, l’idea che la fabbrica possa configurarsi sul piano simbolico e funzionale come “un pezzo di città”, non dunque una città nella città, ma una sua estensione, una civitas aperta, connessa, permeabile, accogliente e ospitale. La strategia persegue due obbiettivi: in primo luogo l’auspicata permeabilità favorisce la riattivazione del grande ospedale e il libero fluire della vita urbana al suo interno; oltre ciò, immaginare l’ospedale come una città consente di affrontare e attuare il suo riuso per parti, programmaticamente e temporalmente finite, attivabili in tempi indipendenti e successivi. La prima azione per riportare in vita la fabbrica abbandonata è pertanto aprirla alla città: per questa ragione risulta strategico l’intervento al piano terreno, quello in continuità diretta con lo spazio urbano. Si può immaginare che proprio il piano terra dell’ospedale si configuri in modo diverso rispetto ai livelli superiori e sia predisposto al servizio di questi: al livello più basso si avrebbe il rinnovamento degli spazi e dei percorsi per favorire permeabilità, libertà di movimento, varietà e interconnessione di usi; mentre ai livelli superiori, diverse porzioni dell’ospedale potrebbero essere occupate da ambiti funzionali più caratterizzati, indipendenti e con possibilità di realizzazione in fasi successive. La seconda azione è appunto la creazione nel piano terra di un connettivo costellato di una serie di attività di interesse collettivo e urbano.

I docenti ringraziano in modo particolare gli studenti che hanno affrontato il lavoro del laboratorio proprio nei mesi più intensi dell'emergenza sanitaria, nel periodo del lock down della primavera del 2020. Le lezioni, le revisioni e il lavoro dei diversi gruppi si è tenuto quasi esclusivamente a distanza in modalità digitale.

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